paola dal din

Il racconto di Paola Del Din e la Resistenza delle donne

Racconto e valori della Resistenza rimarranno per me racchiusi nelle parole schiette e nello sguardo vivace e combattivo di una donna, la professoressa Paola «Renata» Del Din. Partigiana, medaglia d’oro al valor militare, prima donna a essersi lanciata col paracadute. Sorella, moglie, madre. Insegnante e molto altro ancora. In un pomeriggio di fine maggio del 2011, mi aprì le porte di casa sua e si raccontò per oltre due ore. Lo fece con un’intensità tale che i fatti attraverso cui mi guidava sembravano esserle accaduti ieri, non certo oltre 65 anni prima. Il mio obiettivo era raccontare i 150 anni dell’Unità d’Italia attraverso lo sguardo della questione di genere. La sua storia – certo, eccezionale -, rendeva giustizia al ruolo prezioso, e troppo a lungo taciuto, delle donne nella Resistenza. Qui di seguito un breve estratto da quel lavoro, con una parte dell’intervista con la professoressa Del Din (qui invece il testo completo, pubblicato dalla Forum edizioni nel 2012).

«[...] Ancora una volta però furono i grandi sconvolgimenti della guerra a portare i cambiamenti più rilevanti nella condizione della donna italiana. Scrive a tal proposito Anna Rossi Doria: “Il bisogno di libertà femminile era straordinariamente cresciuto per le nuove responsabilità che quasi tutte le donne avevano dovuto assumersi nel corso della guerra e alcune nella scelta della Resistenza, e per la rottura che la guerra e la Resistenza stesse avevano provocato nei tradizionali confini che separavano la sfera privata dalla sfera pubblica” (Rossi Doria, 1996, 49). È possibile capire il peso di quelle nuove responsabilità – per noi così difficili anche solo da immaginare – attraverso le parole e le testimonianze di chi quei terribili anni li ha vissuti. Ho avuto il privilegio di trascorrere un lungo pomeriggio, intessuto di ricordi, assieme alla professoressa Paola Del Din, partigiana della Osoppo e medaglia d’oro al valor militare. Nel suo racconto quelle responsabilità furono un atto dovuto, qualcosa di naturale che semplicemente andava fatto. Credo che la straordinarietà di quelle donne stia proprio qui: “Io non sono entrata nella Resistenza, è questa la differenza, io ci sono stata. Quando mio fratello, partigiano, è tornato a casa con dei suoi colleghi – erano accampati a Collerumiz con il battaglione – non poteva entrare in città con le armi, quindi le hanno sepolte alla periferia di Udine, nell’orto di una ragazza a cui ha detto: ‘Probabilmente verrò io, altrimenti viene a prenderle mia sorella che mi somiglia’. Loro non potevano circolare, non avevano documenti di riconoscimento e io allora sono andata, pacificamente, con la mia bicicletta a ritirarle in Viale Vat. Di lì è venuto tutto di seguito. Quando, ad esempio, si organizzavano per raccogliere le armi sparpagliate per la città, io c’ero. Quindi io non sono entrata nella Resistenza, io ci sono nata. Semplicemente. Se c’era bisogno di portare messaggi o altro, neanche mi sognavo di pensarci su, era quello che bisognava fare punto e basta. Questo perché noi volevamo finire con questa vita impossibile che ci avevano fatto fare, non era possibile vedere tanta gente che partiva e non tornava più, tante famiglie che piangevano. Ore di code per pochi grammi di cibo con la tessera”.

Anche quando le chiedo della scuola paracadutisti – fu la prima donna in Italia a lanciarsi – sorridendo mi risponde: “Mi hanno chiesto se portavo delle carte al Sud perché Churchill pensava di fare uno sbarco qua, in Istria. Allora con il permesso di mia madre – che mi ha accompagnato fino a Padova col treno – sono partita e sono andata giù. È da ridere sa, ho passato le linee nemiche a Firenze con il documento di presentazione, il 15 agosto e loro invece sono sbarcati in Francia il 14 e io non sapevo niente. Volevo tornare in Friuli e non c’era altro modo e io ci non vedevo nessun problema. L’anno prima avevo visto i paracadutisti tedeschi lanciarsi in Norvegia al “Giornale Luce” e ho pensato “4 giorni, 4 lanci, un giorno e mezzo di ginnastica adatta e sono pronta”. Certo, quando sono arrivata il comandante della scuola, un gallese, me ne ha dette quattro perché non si aspettava che arrivasse una ragazza. Quando ha visto però che non facevo storie, anzi che mi facevo il fatto mio, non ci sono stati problemi. Uno alle volte pensa “Che coraggio!” …macché! Ne avevamo passate tante!”.

Come Paola Del Din, furono molte le donne che si distinsero nella Resistenza, ma anche con loro la storia è stata spesso ingenerosa e avara di ricordi, tanto che da più parti si è parlato di “Resistenza taciuta”. Ricordare è invece importante per dare valore alla nostra cittadinanza. Allora non si può dimenticare che in Friuli Venezia Giulia morirono combattendo o eliminate nei lager 619 donne (Raimondi Cominesi). Le storie di alcune di loro sono tragicamente note, come per Cecilia Deganutti, Rita Rosani o Virginia Tonelli, ricordata nel suo paese natio, Castelnuovo del Friuli, con le parole di Tito Maniacco. Altre invece dai lager sono tornate e hanno speso la loro esistenza a custodire e tramandare quel ricordo, penso ad Elvira Bergamasco e ad Ondina Peteani. C’è stata poi la resistenza civile delle donne udinesi che, incuranti delle minacce delle SS, si recarono nella stazione ferroviaria della città per portare generi di conforto ai deportati, stipati nei convogli diretti verso il terribile destino dei campi di concentramento. Quelle donne, poi, raccolsero con assidua costanza i biglietti che i deportati facevano cadere dalle fessure dei carri e riuscirono con coraggio a recapitarli ai loro familiari. Oggi fortunatamente il Comitato Donne Resistenti ha recuperato efficacemente la memoria di quei gesti e così il valore di quella disobbedienza civile è ricordato, dal 1° giugno 2011, con una lapide posta dal Comune di Udine sulla facciata della Stazione. Queste le parole: “1943-1945 alle donne friulane che, senza armi, rifiutarono la brutalità degli occupanti nazisti, diedero conforto e assi- stenza ai deportati e agli internati rinchiusi nei vagoni ferroviari e destinati ai campi di concentramento”. [...]»

Buona Festa della Liberazione a tutti!

Nella foto in alto, Paola Del Din il 13 settembre 2014 alla vista di Papa Francesco al Sacrario Militare di Redipuglia.

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