chapati

Con Oikos conoscersi e raccontarsi cucinando, da Udine a Kabul

La vita — tanto delle persone, quanto delle comunità — è una fitta trama di incroci. Certo, non sempre facili, non sempre immediati, tanto più quando a trovarsi sulla stessa strada sono mondi lontani, culture diverse. Ma il bello della vita è che ci lascia — sempre — la scelta, l’opportunità, di trasformare quell’incrocio in un incontro. E allora perché non incontrarsi in cucina? Conoscersi e raccontarsi mentre si prepara insieme una cena, immersi tra profumi e sapori per noi nuovi? A proporlo nelle scorse settimane è stata Oikos, onlus udinese impegnata nella cooperazione internazionale e, da diversi mesi, anche nell’accoglienza di richiedenti asilo. La formula è semplice, ma efficace: tre laboratori in cui alcuni ospiti dell’associazione insegnano a cucinare i piatti della tradizione gastronomica dei loro paesi, nello specifico Pakistan, Afghanistan e Bangladesh.

Ai fornelli

Leggo dell’iniziativa su Facebook e la decisione di aderire è immediata. Così martedì 19 luglio mi presento nella sede dell’associazione, in via Marano, munita dell’unico materiale richiesto: un grembiule da cucina. Ad accoglierci il presidente di Oikos, Marco Chiandoni, che nel corso della serata si farà carico del difficilissimo compito di prendere nota degli ingredienti e del procedimento di preparazione dei diversi piatti.

I miei compagni di viaggio sono tutte donne, ognuna con un vissuto diverso, da Laura che fa la ceramista a Giovanna che ha 15 anni e studia al Liceo Copernico. A colpirmi, soprattutto, è l’emozione dei nostri «insegnanti»: Waqas (giovanissimo) e Buta. Per loro, come lo sarà per gli altri «chef» che incontreremo, è un’occasione preziosa di integrazione: farsi conoscere e conoscerci, condividendo con noi una parte di ciò che sono. Iniziamo dal pane, il chapati, una sorta di piadina che accompagna i pasti in Pakistan come in molti altri paesi, dall’India al Medio Oriente. Vengo immediatamente redarguita, ho messo troppa acqua nell’impasto! Il resto della serata sarà un valzer di profumi e sapori sconosciuti, una continua meraviglia constatando che, nel dosare saporitissime spezie, il famoso «quanto basta» per i nostri cuochi equivale ad abbondanti e numerose cucchiaiate.

Il lavoro di Oikos

Ma siamo qui anche per conoscere, così Chiandoni ci spiega che Oikos ospita 26 ragazzi secondo un modello di accoglienza diffusa sul territorio, in appartamenti che accolgono gruppi di circa cinque persone. L’impegno è significativo perché — con l’obiettivo  di un’accoglienza dignitosa, attenta alla persona e realizzata con interventi quanto più personalizzati possibile — sono numerose le attività svolte, dall’insegnamento della lingua italiana, all’accompagnamento legale, passando per la formazione civica e l’inserimento lavorativo. Non manca poi — come nel caso del nostro laboratorio — un’importante attività di sensibilizzazione all’accoglienza e all’ospitalità. Il tutto in rete con le diverse realtà del territorio.

Dai numeri alle persone

Durante le tre serate di laboratorio impariamo sì a cucinare piatti etnici, ma soprattutto abbiamo la preziosissima occasione di metterci in una prospettiva diversa da quella in cui viene raccontata prevalentemente oggi l’immigrazione: passiamo dai numeri alle persone. Ci mettiamo in ascolto delle loro storie. I ragazzi afghani, ad esempio, ci parlano del loro viaggio, il passaggio in Iran, l’arrivo in Grecia, la rotta balcanica e — chiaramente — le ragioni della loro profuganza, la fuga dal regime dei Talebani. Uno di loro mi mostra sul telefonino le foto dei suoi due bambini. Mi fa vedere anche una foto di quando viveva a Kabul, sembra quasi un’altra persona: è molto dimagrito e il volto è scavato. Glielo dico. Trattiene a stento l’emozione: «I mesi di viaggio mi hanno segnato e qui è difficile mangiare e dormire quando pensi costantemente a come sta la tua famiglia, a come farle avere un futuro migliore». Lo ascoltiamo in silenzio, consapevoli di non avere risposte.

L’ultima sera incontriamo Soel e Amin, hanno 21 e 22 anni, vengono dal Bangladesh e hanno la fortuna di arrivare dalla stessa città e di aver fatto il viaggio fin qui assieme. Anche loro prendono molto seriamente il compito di insegnarci a cucinare i loro piatti (due dolci) e anche loro, dopo la timidezza iniziale, si raccontano. Chiara Torassa, una degli operatori di Oikos, ci spiega sorridendo che sono due ragazzi particolarmente diligenti, a partire dal loro impegno nell’apprendimento dell’italiano ( e di qualche parola di friulano). Del loro racconto mi colpisce l’enorme desiderio di futuro, ci dicono che vorrebbero restare in Italia e a Soel si illuminano gli occhi nel dire che gli piacerebbe aprire un ristorante di cucina bengalese.

Ci salutiamo con una promessa: i nostri cuochi hanno chiesto, tutti e indistintamente, di poter imparare a loro volta a cucinare qualcosa di italiano. Subito partono le ipotesi di menù e tra le tante proposte un’unica certezza: non possiamo esimerci dall’insegnare loro come si fa il frico. Ci porteremo dentro a lungo il bello di queste serate trascorse a cucinare insieme e della condivisione di un pasto preparato insieme, perché questo incrocio abbiamo voluto fortemente trasformarlo in incontro: una luce preziosa dentro il buio di questi tempi.

(Pubblicato sul settimanale diocesano «La Vita Cattolica» dell’11 agosto 2016)

Vi interessa la proposta? Dal primo settembre riparte il laboratorio di cucina etnica in casa Oikos! una volta a settimana ci si incontra vero le 18/18.30 per imparare alcune ricette pachistane, afghane e bengalesi, concludendo infine con le nostre ricette italiane. Le iscrizioni sono aperte, possono partecipare sei persone alla volta, si dovrà portare solo un grembiule.
Per iscrizioni: scrivere a Oikos su Facebook, oppure telefonare a 0432/520803, oppure scrivere a chiara.torassa@oikosonlus.net, marco.chiandoni@oikosonlus.net.

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