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Iran e Iraq, ascoltando chi vive in Friuli

Esattamente una settimana fa ci siamo svegliati con la notizia dell’attacco iraniano alle basi americane in Iraq. Come trattare a Udine, su una piccola testata locale, un argomento come questo, di politica internazionale? Dal mio punto di vista, attingendo alla ricchezza di un territorio abitato da persone che provengono da tutto il mondo, ascoltando che cosa vuol dire essere iraniani, iracheni, pakistani, etiopi o bengalesi. Così, mercoledì scorso, ho chiamato Medhi, in primo luogo un amico e collega, una persona splendida. Mehdi è iraniano, ma vive e lavora in Friuli ormai da quasi dieci anni. Rifugiato politico, è fuggito dal suo Paese nel 2009, a causa della feroce repressione delle manifestazioni contro l’elezione di Ahmadinejad. Qui sotto trovate l’intervista, dedicatele un attimo di tempo, perché in questi giorni leggiamo titoli come «scoppia la protesta in Iran», la verità è che la protesta non si è mai fermata: è stata colpita, repressa nel sangue, fiaccata, ma non muore, perché c’è un desiderio di libertà – soprattutto nei giovani – che resiste, nonostante la ferocia del regime, e che ha un disperato bisogno di non essere abbandonato a se stesso. Oltre all’intervista a Mehdi c’è anche un pezzo sull’Iraq, anche qui per scriverlo ho sentito un amico iracheno che vive e lavora qui, anche nel suo Paese c’è chi è in piazza da mesi. Dunque, buona lettura!

Iran e Usa: venti di guerra. Una voce dal Friuli

mehdi

Si fa beffe della pace il 2020, catapultandoci – in appena una manciata di giorni – in uno scenario cupo, in cui la minaccia di una guerra dalle proporzioni potenzialmente imprevedibili agita l’attualità. A preoccupare sono i rapporti tra Iran e Stati Uniti che, da tesi, sono diventati incandescenti. L’escalation giovedì 2 gennaio con l’uccisione – ordinata dal presidente americano Donald Trump – a Baghdad del generale iraniano Qassem Suleimani, uno dei più grandi nemici degli Stati Uniti degli ultimi anni e uno dei personaggi più potenti di tutto il Medio Oriente. Imponente la folla che ha partecipato ai suoi funerali, tanto che la calca ha provocato 56 morti e 213 feriti. L’acuirsi, prevedibile, nella notte tra martedì 7 e mercoledì 8 gennaio con la risposta iraniana: un attacco missilistico lanciato da Teheran contro le basi militari Usa in Iraq.

Numerosi sono i rifugiati politici che negli anni dall’Iran hanno riparato in Italia. Tra loro Mehdi Limoochi (nel riquadro), operatore della Caritas diocesana di Udine, 39 anni, nel nostro Paese dal 2009 a seguito della repressione delle proteste contro l’elezione di Ahmadinejad.

Qual è la sua percezione degli eventi? Lo stato d’animo?

«La notizia dell’uccisione di Suleimani ha destato in me, da subito, una grande preoccupazione, si tratta della seconda persona più importante del regime iraniano, come presenza militare. Da tanti era considerato un eroe che ha difeso il Paese dall’Isis».

Da tanti, ma non da tutti.

«Proprio così. Negli ultimi mesi con il gruppo militare di cui faceva parte si era reso protagonista, come in passato, di una feroce repressione delle manifestazioni di piazza che erano scoppiate a novembre a seguito dell’aumento del costo del carburante e proseguite per chiedere, soprattutto da parte dei giovani, ancora una volta, più diritti: hanno ammazzato 1500 persone. È chiaro dunque che per tanti altri Suleimani non possa essere considerato un eroe. La società in altre parole è spaccata in due».

Lo scenario è in evoluzione, ma cosa si può prevedere?

«È difficile dirlo, perché la propaganda rende complicato capire come stiano davvero le cose. Alcuni, addirittura, sostengono che le notizie non siano vere, che l’Iran avrebbe venduto Suleimani, per avvicinare il momento del ritiro delle sanzioni. In quest’ottica l’attacco alle basi americane sarebbe solo una risposta dovuta, un modo per accontentare i pasdaran iraniani. Al di là di queste ricostruzioni, l’attacco iraniano deve metterci in allarme, se dovessero esserci nuove azioni di risposta da parte dell’America, non so dove si potrà finire, l’Iran non è l’Iraq con un regime che può crollare facilmente come quello di Saddam Hussein. E per altro il conflitto si allargherebbe ad altri Paesi dell’area. Le conseguenze sono inimmaginabili».

I suoi amici in Iran come la pensano?

«Le voci sono diverse, alcuni dicono che la situazione si congelerà prima di arrivare a una guerra vera e propria. Altri dicono che è meglio la guerra se può far cadere il regime: meglio il conflitto, piuttosto che continuare a vivere senza libertà. La maggior parte dei giovani non sopporta il regime. Anche se c’è un po’ di confusione».

In che senso?

«L’azione di Trump in alcuni ha fatto scattare un sentimento che induce a riconsiderare la figura di Suleimani come difensore del Paese. Un sentimento questo che la propaganda cerca di alimentare».

Cosa c’è da augurarsi in questo momento?

«Il nostro auspicio è che l’Europa abbia il coraggio e la forza di porsi come elemento di dialogo, specialmente sulla base dei risultati che l’accordo sul nucleare aveva dato e che ora rischiano di essere vanificati, soprattutto da quando Trump ha deciso di tirarsene fuori».

Anna Piuzzi

(Pubblicato sul settimanale diocesano di Udine «La Vita Cattolica» del 9 gennaio 2020)

(Foto Ansa in evidenza tratta dal sito lastampa.it)

 

In Iraq popolazione stremata. In Piazza Tahrir i manifestati resistono

«Manco dall’Iraq, ormai da 16 anni, ma queste nuove notizie di guerra sono un dolore profondo, il mio Paese non riesce a rinascere». A raccontare i suoi sentimenti è S., rifugiato politico dal 2003 in Italia e che dal 2004 vive con la sua famiglia – la moglie e tre figli – in Friuli.

«L’Iraq – spiega – soffre da anni, non c’è mai stata una tregua: la guerra, l’embargo, l’invasione. Saddam Hussein è caduto da 16 anni, alla popolazione sono state fatte tante promesse, ma nessuna è stata mantenuta». «Uscivamo da una situazione storica in cui c’era un solo partito, al governo, è innegabile c’era una dittatura che teneva tutto sotto controllo. Io sono cristiano, la nostra minoranza non aveva mai avuto problemi. Per altro, abbiamo sempre convissuto per secoli. Ora c’è il caos, come sempre accade quando c’è un cambiamento di questo tipo, non è facile per la politica accordarsi».

E rispetto all’Iran? «In questo momento – evidenzia – la maggioranza al governo è sciita, come in Iran. Se ne parla poco, ma da mesi piazza Tahrir, a Baghdad, è piena di persone che, come in altri Paesi del Medio Oriente, sta protestando contro il governo che appunto è manovrato dall’Iran. Suleimani aveva una grandissima influenza nel Paese. La gente però è stanca, non vuole un governo religioso, ma laico, democratico che dia almeno alcuni diritti. È questo che si continua a chiedere, ma contro i manifestanti è stato aperto il fuoco, ci sono stati tantissimi morti. Eppure c’è ancora chi protesta, chi continua a restare in piazza, addirittura con le tende, durante la notte. I media dovrebbero raccontarlo».

«La situazione rischia di peggiorare. Il parlamento vuole mandare via gli americani, ma mi chiedo che cosa succederà dopo. Un nuovo embargo? Chi pagherà? La gente normale che è stremata. In questo scenario, rischiamo addirittura più dell’Iran».

Anna Piuzzi

(Pubblicato sul settimanale diocesano di Udine «La Vita Cattolica» del 9 gennaio 2020)

 

 

  1. silva ganzitti

    Interviste interessanti, Anna, punti di vista che ci dovrebbero permettere di vedere oltre il velo delle strumentalizzazioni. Resta, come si sottolinea in entrambe, una certa confusione, perché ormai nulla è come sembra, il lupo che mette la pelliccia dell’agnello e viceversa. Resta soltanto l’idea che i diritti soccombano sempre, perché sono gli interessi a fare la voce forte.

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