migranti-rotta-balcanica-1

Da Dragogna a Gradisca, si continua a morire “di confine”

È un tempo di Avvento, quello che stiamo attraversando, in cui è ben poca la luce che ci accompagna. A scandire i giorni – e nemmeno ce ne accorgiamo – sono invece il dolore e la morte che si raggrumano densi tra le maglie strette del confine orientale, togliendo il respiro a quel che resta della nostra umanità. Giovedì scorso una bambina di 10 anni – 10 appena – è morta affogata tra le acque gelide del fiume Dragogna, lungo il confine istriano tra la Slovenia e la Croazia. Era una bimba curda che insieme alla sua famiglia stava inseguendo, lungo la “rotta balcanica”, il sogno di una vita migliore, fatta di diritti e di dignità, che confidava di trovare in Europa. E invece in Europa ha trovato solo porte chiuse e la morte che l’ha strappata alla vita mentre era aggrappata alle spalle della sua mamma che – insieme agli altri tre figli – tentava disperatamente di attraversare il fiume (qui un articolo di Osservatorio Balcani).

Che ne sarà di loro adesso, loro che sono sopravvissuti? Difficile dirlo, hanno fatto richiesta di asilo, ma potrebbero essere rispediti indietro, in Bosnia, lungo la “rotta balcanica”. O forse – come già per altro accaduto ad altre famiglie – potrebbero essere divisi: i minori affidati ai servizi sociali, la madre, invece, espulsa. È questa la quotidianità feroce e disumana del confine europeo. Basti pensare che neanche un mese fa – il 19 novembre – un bimbo siriano di poco più di un anno è morto di freddo nei boschi al confine tra Polonia e Bielorussia, ma ce ne siamo già dimenticati.

E non sono queste storie isolate. Anzi, tutt’altro: la rete transnazionale di attivisti che ogni giorno soccorre e denuncia l’indicibile, dà conto non solo della situazione terribile in cui versano migliaia di persone – e tra loro sono tantissimi i bambini –, ma anche delle efferate violazioni dei diritti umani compiute dalle polizie di confine, in particolare quella croata (ben equipaggiata dall’Unione Europea) che, prima di rispedire in Bosnia i migranti che hanno tentato di entrare in Europa, si premura di picchiarli e spogliarli di tutto. Trattamento riservato anche a uomini e donne afghani per i quali, solo ad agosto, provavamo tanta umana vicinanza, sentimento ormai inghiottito da altre urgenze.

Ma in questo tempo di Avvento si muore “di confine” non solo lungo la rotta, ma anche qui, in Friuli. Neanche una settimana fa un uomo di origine marocchina (ad oggi sappiamo solo che il suo nome inizia per R) si è ammazzato al Centro di Permanenza per i Rimpatri (Cpr) di Gradisca: quella stessa struttura in cui l’anno scorso sono morti Vakhtang Enukidze, georgiano, e Orgest Turia, albanese. Una notizia, quella del suicidio di R., accolta dalla più totale indifferenza e che la maggior parte dei media non ha nemmeno dato. Eppure questi luoghi di detenzione dovrebbero interrogarci dal momento che la cronaca ci dà conto della morte in contenzione – appena pochi giorni prima, al Cpr di Ponte Galeria (a Roma) – di Wissem Ben Abdellatif, mentre al Cpr di Torino (travolto da un’inchiesta giudiziaria) sarebbero oltre 60 i tentativi di suicidio in appena due mesi. Domenica 19 dicembre alle 14.30 ci sarà un presidio fuori dal Cpr.

Per fortuna però non c’è solo silenzio, mentre il giornale va in stampa, martedì 14 dicembre, a Trieste in piazza Libertà, ribattezzata «Piazza del Mondo» (dove i volontari di Linea d’Ombra ogni giorno prestano cure a chi giunge in città dalla “rotta balcanica”), prende vita «Il cammino della speranza». Si tratta di un’iniziativa promossa da una vasta rete di associazioni e movimenti: una staffetta in otto tappe – dal confine orientale di Pesek a quello occidentale di Oulx in Val di Susa – sulle orme delle persone migranti per affrontare il tema della “rotta balcanica” e iniziare a muoversi e non solo a commuoversi. Una traversata simbolica, che impegnerà, fino al 22 dicembre, una cinquantina di atleti e coprirà 800 chilometri. Sono loro a correre, ma la responsabilità di fare luce e dissipare il buio del tempo presente è nelle mani di ognuno e di ognuna di noi.

Pubblicato sul settimanale diocesano di Udine di mercoledì 15 dicembre 2021.

Leave A Comment?


× sette = 49