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Mazzantini e i miei pregiudizi letterari

Ci sono cascata con lei e chissà con quanti altri ci cascherò. Pregiudizio letterario, né più, né meno. Fatto sta che Margaret Mazzantini l’ho snobbata per anni. Saltata a piè pari. Poi ho preso fra le mani Venuto al mondo, semplicemente perché ero scettica. Un libro ambientato a Sarajevo, durante l’assedio. Figurarsi, ero prontissima a demolirlo. Invece quel libro l’ho divorato in due giorni. Mazzantini a Sarajevo c’è stata meno di una settimana, ma l’ha assorbita e poi restituita con parole che compiono un piccolo miracolo: farti camminare nelle strade della città e in quello che è stato il suo dolore. Così ho letto anche Non ti muovere e pure in quel caso sono stata risucchiata dalle sue pagine.

In questi giorni è toccato a Nessuno si salva da solo. Non è paragonabile agli altri, senza dubbio un lavoro minore, ma la capacità di Mazzantini di costruire i personaggi e di fare in modo che tu possa specchiartici dentro è davvero unica. Proprio come qui: «Loro appartenevano alla generazione della patacca, del remake. Tutto era già stato provato, si trattava solo di rivisitare, senza un vero nerbo. Vecchie le ferite, le facce dipinte degli emo. Cosa c’era di nuovo? Il sushi da asporto, la festa di Halloween, Facebook. Il sogno di tutta la gente che conoscevano era quello di organizzare eventi. Di anelare a una festa continua sulle macerie di tutto. L’egoismo come unica borsa a tracolla. Eppure quello era il loro mondo e avrebbero dovuto camminarci insieme ai loro figli. Drizzare le antenne per captare un segnale positivo».

Nella foto di apertura un particolare della copertina di Nessuno si salva da solo.

 

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