Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo

«Due passi sono» il primo Teatroxcasa in FVG

Una domenica generosa in lentezza e in pioggia. Addosso trattengo gelosamente ciò che resta di una bella nottata, intessuta fino quasi all’alba di buona musica e di un’ottima compagnia. Voglia indolente di restare sul divano, raggomitolata sotto la mia coperta blu. Ma mi alzo, mi cambio e parto perché questa cosa del Teatroxcasa proprio la voglio vedere.

Mi ritrovo così catapultata in un’esperienza emozionante. Martina ed Eros, con Gioele e Valentina, hanno aperto la loro casa — primi in Friuli — alla geniale idea di un circuito che mette in contatto artisti con «case illuminate che vogliono ospitare cultura e metterla a disposizione di un pubblico» perché «la cultura può essere leggera e poco ingombrante».

Ad accogliere chi arriva alla spicciolata ci sono la piccola Valentina e un’amica: impeccabili maschere, con tanto di lista degli invitati alla mano. Entro in casa e c’è il calore splendido di questa super famiglia che regala sorrisi, dispensa abbracci e fa di tutto affinché ognuno stia bene, a proprio agio. Nell’attesa dello spettacolo, in ingresso c’è il ben di Dio: salame, prosciutto, buon vino e dolcetti di tutti i tipi. Nel soggiorno — che sarà il nostro teatro — sedie e cuscini per ospitare il pubblico. E i cartelli di Valentina che, giustamente, ha ribattezzato la scala che porta al piano superiore “galleria”. Una meraviglia.

Dunque ognuno al proprio posto. Luci spente. Si comincia. I due attori scendono, animano lo spazio del “palco” dando vita, in un attimo, a una piccola, ma preziosa magia: Cristiana Minasi e Giuseppe Carullo mettono in scena «Due passi sono».

Due piccoli (ma piccoli sul serio) esseri umani si affacciano per noi sul palco dell’esistenza, facendoci vivere la loro quotidianità con battute ironiche e brillanti, che strappano sonore risate, ma che — comunque — inchiodano a un senso opprimente di claustrofobia. Pasti in pillole, routine schiacciante, paura di uscire, sguardo fisso sulle mattonelle del marciapiedi anziché aperto alle stelle del cielo.

Poi, d’un tratto, le domande su ciò che vogliamo dalla nostra vita. E le paure che le fanno piombare in basso. «Ho sognato io, te, una bimba e un cane» dice lui. «Siamo troppo bassi – risponde lei -, la bambina mi viene corta. E tu hai le braccia troppo lunghe, la bambina mi viene corta e con le braccia lunghe».

E ancora: «Perché non provi a uscire? Vai fuori e mi dici quello che vedi». Irrompono così la grazia e l’incanto di chi il coraggio lo trova. Di chi fa un balzo nella vita per tentare di essere felice davvero. Di chi raccoglie la sfida di dare corpo a un sogno, anche se privo di garanzia alcuna.

Mi emoziona questa piccolissima, energica donna che dice: «Il mare da lontano sembra finto, poi, quando si scende giù, si scopre che il mare c’è e fa le onde, fa gli spruzzi e dentro ci sono anche i pesci. Sai che ti dico? Alla fine si può anche essere felici, però per essere veramente felici bisogna averlo visto almeno una volta il mare da lontano, bisogna aver creduto almeno una volta che fosse tutto finto».

Già: saltare nella vita, avventurarci, senza troppe paure, sulle strade che ci apre (anche se si tratta di passaggi stretti ed angusti), anche se inciamperemo, anche se cadremo, anche se il mare, da lontano, sembra finto. E sai che felicità quando ci tufferemo dentro, senza aver ceduto al dubbio che la felicità non potesse toccare a noi.

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