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Carcere di Udine. Inaugura la nuova “sezione semiliberi” e inizia un cambio di passo

Il 2024 promette di essere l’anno che segnerà una svolta decisiva per la casa circondariale di Udine, una svolta dunque anche per la città tutta, essendo il carcere di via Spalato un suo tassello fondamentale. È infatti in programma per martedì 23 gennaio l’inaugurazione della “Sezione Semiliberi”, attesa concretizzazione di un progetto articolato – del valore di cinque milioni di euro – di riqualificazione del complesso carcerario. Concretizzazione che è solo la prima di una serie. Ne abbiamo parlato con il garante dei Diritti delle Persone private della Libertà personale del Comune di Udine, Franco Corleone.

Corleone, un traguardo importante quello del 23 gennaio.

«Importante davvero perché questa inaugurazione rappresenta la prima realizzazione concreta e visibile di un progetto che evidentemente non era una proclamazione generica, di quelle che cadono nel vuoto, ma un’idea di ristrutturazione valida e fondata».

Guardiamo alla vita delle persone detenute in regime di semilibertà, che cambiamento sarà per loro? 

«Senz’altro un cambiamento significativo. Parliamo infatti di persone che escono la mattina per andare al lavoro e che, fino ad oggi, facevano rientro in carcere, in una situazione molto infelice. È importante evidenziare che la concezione più avanzata di semilibertà prevede strutture che stanno al di fuori del carcere: è così in diverse città, in molte altre, invece, com’è stato finora a Udine, l’apposita sezione si trova dentro alla casa circondariale. Dunque dal 23 gennaio queste persone non dovranno più entrare formalmente in carcere, ma usufruiranno di alloggi confortevoli».

Quali spazi sono stati impiegati? 

«È stato recuperato uno spazio abbandonato – nella palazzina storica, sopra la portineria – che decenni fa era impiegato come alloggio di servizio. È questo il filo conduttore di tutti gli interventi, basti pensare che lo stesso è accaduto per la cappella (per il cui recupero ha contribuito finanziariamente anche l’Arcivescovo) e la stanza per il Consiglio dei detenuti, luoghi che prima versavano in stato di abbandono e che, invece, ora sono meravigliosi».

Questa è solo la prima di una serie di realizzazioni, quali i prossimi passi?

«A Pasqua ci dovrebbe essere il taglio del nastro del polo culturale ed educativo nell’ex sezione femminile. Anche quello era uno spazio abbandonato dove ora, invece, ci sarà la possibilità di fare numerose attività culturali che immagino saranno gestite soprattutto dall’associazione “Icaro”, ma più in generale dal volontariato. E poi uno spazio per la scuola, per la biblioteca e anche per alcune lavorazioni».

Anche i locali dove prima erano collocate biblioteca e aule avranno una nuova vita? 

«Sì, verranno demoliti, al loro posto sorgerà un teatro. Non solo. L’infermeria sarà spostata al pian terreno per favorirne la fruizione. Insomma i prossimi mesi saranno un grande cantiere che restituirà condizioni di vita migliori e la possibilità di attività molto diverse, con un beneficio per tutta la città. Abbiamo impiegato tre anni tra progettazione e lavori, ma sono stati ben spesi».

Un patrimonio che esige responsabilità, quale ruolo dovrebbero giocare le istituzioni?

«Tutta la ristrutturazione dovrebbe vedere l’interesse e l’impegno della Regione (soprattutto sul fronte della Sanità) e del Comune che dovrebbe occuparsi di tutte le questioni che, come Garante, ho posto sul tappeto a dicembre: dalla gestione dei rifiuti, con la raccolta differenziata e la realizzazione di un’isola ecologica, a una convenzione col carcere per i lavori socialmente utili per alcuni detenuti».

Lei ha sollecitato anche l’apertura di uno “sportello cittadinanza”.

«Per dare risposta alle troppe persone che non hanno documenti, dalla residenza alla patente, passando per il permesso di soggiorno: c’è bisogno di un punto di riferimento. Mi auguro che il Comune sblocchi l’impasse che c’è da troppo tempo per realizzare questa realtà». Torniamo ai detenuti in condizione di semilibertà, il fatto che non debbano più rientrare in carcere significa per loro anche avere uno sguardo diverso sul proprio futuro.

Quanto è importante questo per un reinserimento? 

«Udine ha 10-12 persone in regime di semilibertà e – considerato il numero complessivo dei detenuti – non sono poche. Però si può fare di più, la magistrata di sorveglianza del Tribunale di Udine, Mariangela Cunial, sollecita un maggior numero di posti. Il problema è che servono spazi, il Comune, potrebbe mettere a disposizione un immobile a tale scopo. Potrebbero esserci insomma più persone a godere dei benefici della semilibertà, ma se mancano casa e lavoro, tutto resta bloccato. Insomma puntiamo a che questa nuova sezione porti altre strutture per la semilibertà, diffuse sul territorio».

Lei ha avanzato in tal senso anche una precisa proposta di legge.

«Sì, diciamo che segue la stessa linea. Ho proposto infatti l’apertura di “case di reinserimento sociale” per i detenuti che hanno un fine pena inferiore ai dodici mesi. Sarebbe una novità importante, anche se si collega in qualche modo alle “case mandamentali” che dal 1940 al 2000 sono state numerose in Italia, dedicate alle condanne del Pretore».

In concreto in cosa consisterebbero? 

«Non si tratterebbe di luoghi gestiti dall’Amministrazione penitenziaria, ma dal sindaco. Immaginiamo strutture da 5-10 posti, piccoli numeri che favorirebbero il reinserimento nel tessuto sociale in una comunità anche piccola».

Serve anche un maggior coinvolgimento della società civile?

«Indubbiamente, ma va detto che c’è una presenza forte del volontariato e delle associazioni, come Icaro e Caritas, che danno un bell’impulso. Il problema è che va diffusa tale sensibilità e in questi anni abbiamo cercato di farlo, penso ad esempio al coinvolgimento dell’Università per il progetto architettonico di riqualificazione del carcere».

L’Università a breve firmerà una nuova convenzione…

«Sì, volta alla valorizzazione del patrimonio storico del carcere. Durante i lavori di restauro abbiamo infatti rinvenuto, nel sottotetto, gli elenchi delle presenze in via Spalato dagli anni Venti agli anni Cinquanta».

…manca forse all’appello la componente “produttiva” della società?

«Direi di sì. Anche qui però servono condizioni adeguate. Per le lavorazioni noi abbiamo avuto delle proposte di alcune cooperative, il problema ancora una volta sono gli spazi».

 Avete individuato già alcune possibili ipotesi?

«Dietro il carcere c’è un’area che prima era del Comune e poi, per una permuta, è stata ceduta ai Carabinieri. Andrebbe “riconquistata”, lì infatti c’è una palazzina inutilizzata da dieci anni che sarebbe perfetta per realizzare laboratori per alcune lavorazioni».

Una soluzione che darebbe risposte importanti in termini di reiserimento?

«Sì, perché noi a Udine abbiamo soprattutto una detenzione di emarginazione che va recuperata attraverso cultura e lavoro. Servono energie e disponibilità, il mio auspicio è che tutte le realizzazioni di questo progetto di riqualificazione convincano sempre più componenti della società a mettersi in gioco».

Pubblicato sul settimanale diocesano di Udine «La Vita Cattolica» del 3 gennaio 2024.

 

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