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Carcere di Udine. Digiuno a staffetta per i diritti dei detenuti

Succede che attorno alla casa circondariale di Udine sia cresciuta una piccola, tenace comunità. Uomini e donne che non necessariamente fanno parte di realtà impegnate in questo frangente, ma semplici cittadini e cittadine che si sono presi a cuore i diritti dei detenuti. Merito del preziosissimo lavoro di sensibilizzazione che negli anni hanno fatto realtà come l’associazione Icaro. E così sono in tanti ad aver aderito al digiuno a staffetta che, fino al 25 aprile, terrà accesi i riflettori su via Spalato (qui il diario).

Ma qual è la situazione del carcere di Udine? L’ha efficacemente delineata un uomo straordinario come Franco Corleone, instancabile garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Udine. Lo ha fatto in conferenza stampa proprio lunedì 11 marzo, non a caso nel centenario di Franco Basaglia.

Sovraffollamento

La questione più nota è chiaramente quella del sovraffollamento. Con 149 detenuti su una capienza di 86, siamo infatti in cima alla triste classifica nazionale delle carceri col più alto tasso di sovraffollamento. Ma fermarsi a questo dato non basta, serve guardare alla composizione di questo microcosmo.

La “difficile” composizione della popolazione carceraria

Delle 149 persone presenti in via Spalato – ha spiegato Corleone – circa metà sono straniere. Ben 50 sono in attesa di un primo giudizio, su questo fronte bisognerebbe creare le condizioni per applicare le innovazioni della riforma Cartabia che prevede un uso più ampio delle misure sostitutive, ma servono strumenti specifici come i braccialetti elettronici che però sembrano mancare (nonostante i parecchi soldi spesi). E ancora, 53 persone devono scontare una pena inferiore ai tre anni. In 37 sono dentro per la violazione dell’articolo 73 della legge sulla droga, in particolare per piccolo spaccio. Infine, 48 persone sono tossicodipendenti, 18 alcoldipendenti. E sono 9 i soggetti psichiatrici.

Luogo di detenzione sociale

Numeri che, al di là delle considerazioni sull’opportunità di depenalizzare alcuni reati, rendono del tutto evidente il fatto che – ha spiegato il garante – «la casa circondariale di via Spalato non è, come dovrebbe essere, l’extrema ratio, ma nei fatti un luogo di detenzione sociale, di assistenza (se così possiamo chiamarla) per l’emarginazione sociale». Si tratta infatti non solo di un’umanità composita, ma che ha anche bisogno, nella sua fragilità, di misure e interventi efficaci di reinserimento sociale, di accompagnamento verso un reingresso nella società.

Quanti sono i detenuti verso il “fine pena”?

E proprio quello che attiene alle uscite più prossime è un altro dato importante, con ricadute che riguardano l’intera collettività: nel 2024 sono infatti 17 le persone che avranno finito di scontare la propria pena, 18 nel 2025 e 18 nel 2026. Che ne sarà di queste persone una volta “fuori”? «Siamo riusciti – ha fatto sapere Corleone – ad ottenere risposta positiva da parte della direzione del carcere in merito alla costituzione di una task force per preparare chi è verso la fine della pena. Sia chiaro, la task force non ce lo siamo inventata noi, la prevede una circolare del Ministero della Giustizia sul trattamento dei dimittendi, vecchia di due anni, ma che a Udine non è stata applicata».

Consiglio di leggerla questa circolare, perché non solo definisce il «momento che precede le dimissioni» come «delicato», ma sottolinea nella sua premessa che «l’idea del cambiamento, lo “spettro” della libertà con i suoi rischi e le sue possibilità, rendono la cura delle dimissioni un tassello fondamentale del percorso di inclusione sociale realizzato insieme e a favore del detenuto». La circolare è poi disseminata di parole chiave: “attestazione della qualifica professionale conseguita nel corso della detenzione”, “colloqui aggiuntivi coi familiari”, “contatto con la comunità esterna” e via così. Tra le indicazioni c’è anche quella di «assicurare, per quanto possibile, un’attività lavorativa, affinché i detenuti indigenti in via di liberazione vengano forniti di risorse anche minime, di cui poter disporre al momento delle dimissioni» e si specifica: «Anche l’inserimento di detenuti in dimissione in attività di pubblica utilità apre loro una vasta gamma di opportunità per generare un circuito virtuoso». Il Comune di Udine però – ha spiegato Corleone – ha interrotto la sottoscrizione di una convenzione in questo senso, per mancanza di fondi. Eppure si tratta una misura di “sicurezza sociale” (ben più efficace della “sicurezza” tout court, tanto in voga di questi tempi) importantissima. Ma – ha aggiunto il Garante – l’assessore Pirone si è fatto carico di questa questione. Altro nodo, che riguarda il Comune, è l’istituzione di un ufficio anagrafe dentro al carcere, anche qui si resta in attesa.

Salute: sei questioni

Un capitolo enorme riguarda poi la salute, in particolare quella mentale, come del resto si evince dai numeri di cui sopra. Anche qui, dire che Corleone è tenace è un eufemismo. Sei i temi che ha portato sul tavolo di un recente incontro con il direttore generale dell’Azienda sanitaria Friuli centrale, Denis Caporale, e il direttore del Dipartimento di Salute Mentale, Marco Bertoli. Eccoli in breve.

La richiesta di una copertura sanitaria sulle 24 ore, è stata ottenuta la presenza di personale sanitario fino alla mezzanotte. È inoltre in corso la valutazione della possibilità di coinvolgere i medici delle scuole di specializzazione. Si è parlato anche di un maggior accesso alle protesi odontoiatriche.

L’ampliamento della Rems di Udine, a Sant’Osvaldo. Si va verso il raddoppio, passando da 2 a 4 posti, i lavori dovrebbero partire a luglio. Cosa sono le Rems? Le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza che hanno sostituito gli Ospedali psichiatrici giudiziari (Opg) aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015 (qui per saperne di più).

Restando in tema di salute mentale, a breve sarà presente in carcere, a tempo pieno, uno psicologo. Questo risultato, insieme a quello dell’ampliamento della Rems, mira ad evitare che l’unico strumento per contenere il disagio mentale sia l’uso del tutto improprio dell’isolamento disciplinare, ma che invece si affronti nella maniera più corretta, non solo per i detenuti, ma anche per la collettività, garantendo così (sì, uso ancora una volta questa espressione) maggior sicurezza sociale. «I detenuti – ha più volte evidenziato Corleone – hanno necessità di parola, per questo la presenza di uno psicologo (sarebbe meglio due) è fondamentale». Non dimentichiamoci per altro che nelle carceri italiane il tasso di suicidi e di autolesionismo è altissimo.

C’è poi tutto il tema connesso alla sentenza 99/2019 della Corte costituzionale che ha esteso l’applicabilità della detenzione domiciliare “in deroga” ai casi di grave infermità psichica sopravvenuta durante la carcerazione, equiparando di fatto la «grave malattia di tipo psichiatrico» alle «gravi malattie di tipo fisico». Ma servono strutture che al momento non ci sono.

Infine, è stato chiesto che le relazioni semestrali sulle condizioni igienico-sanitarie del carcere siano rese pubbliche.

Riqualificazione, lavori spediti

Intanto i lavori per la riqualificazione strutturale del carcere proseguono spediti. Tra pochi giorni le persone in regime di libertà entreranno a tutti gli effetti nella nuova sezione (ne avevo già parlato qui). Il polo culturale ed educativo dovrebbe essere pronto nel giro di qualche mese. «Sono questi – ha concluso Corleone – passaggi importantissimi perché il carcere sarà dotato di spazi per dar vita ad attività nuove capaci di incidere nella vita dei detenuti, valorizzando il lavoro importantissimo che fanno le realtà del volontariato, in primis Icaro e Caritas. Ma serve con urgenza anche pensare risposte concrete, soprattutto residenziali per la delicatissima fase dell’uscita, spesso le persone non hanno un posto dove andare ed essere immediatamente autonomi è complicato. Solo così potremo parlare davvero di reinserimento sociale e piena integrazione».

 

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