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25 aprile 2021 guardando a Ondina Peteani | Intervista con Marta Cuscunà

O​​ndina Peteani non visse la gioia della Liberazione. Quel 25 aprile lei si trovava «assieme a una babele di relitti umani a più di mille chilometri di distanza». Era sopravvissuta ad Auschwitz, ma «irrimediabilmente provata nel fisico e brutalizzata nella mente». A raccontare la vita di questa straordinaria donna – che a 18 anni scelse di diventare staffetta partigiana, che venne catturata e poi internata come prigioniera politica, che sopravvisse all’orrore dei lager perché animata dalla Resistenza («sinonimo del nostro irrefrenabile bisogno di Libertà») – è l’attrice e autrice monfalconese Marta Cuscunà, in uno spettacolo intenso ed emozionante: «È bello vivere liberi!» che è andato in scena venerdì 23 aprile alle 21 in streaming dal teatro Lavaroni di Artegna, nell’ambito della rassegna dell’Ert.

Ondina rientrò a Trieste nel luglio del 1945, impiegò tre mesi per percorrere 1300 chilometri. Divenne ostetrica e l’impegno politico e la passione civile furono la costante di tutta la sua vita, innervata da un profondo e radicale senso di solidarietà. Che cosa possono trasmetterci oggi, in un tempo inedito e tanto complesso, l’esperienza della Resistenza e la vita di Ondina? Lo abbiamo chiesto proprio a Marta Cuscunà.

Cuscunà, quanto e come è attuale celebrare e vivere la Festa della Liberazione a 76 anni di distanza?

«Rispondo con una scelta che ho fatto. Insieme all’Ert ho voluto che ad Artegna, in sala, ci sia la sagoma di Patrick Zaki perché in questo momento non c’è figura che renda più evidente il fatto che quello che è accaduto ad Ondina continua a succedere e dobbiamo farcene carico. Una vicenda, quella dello studente egiziano, che si ricollega a quella di Giulio Regeni rispetto alla quale non siamo ancora riusciti ad ottenere verità e giustizia. Nei giorni scorsi poi, il portale web dell’Anpi nazionale, nel quale è stato realizzato il memoriale digitale della Resistenza, ha subito un attacco hacker. Insomma, la violenza fascista ha forme diverse, ma esiste ancora».

Ondina subì l’indicibile, ma non smise di “ricostruire” per tutta la sua vita, anche all’indomani del terremoto del 1976, per dirne una, mise in piedi la prima tendopoli, cosa ci dice per il tempo che stiamo vivendo?

«Ci dice che dobbiamo mettere da parte le paure e trovare la strada per rinascere e ricostruire. A colpirmi della sua biografia è proprio il fatto che ha sempre agito per contrasto alle avversità. Ne è un esempio la sua scelta di diventare ostetrica, che derivò dall’essere uscita dai lager sterile: reagì a quella dolorosa privazione facendo nascere i figli degli altri, dedicandosi sempre alle prospettive di futuro. Lo fece, per altro, dentro una cornice di condivisione, di sorellanza, di solidarietà».

Dedicarsi alle prospettive di futuro vuol dire anche dedicarsi ai giovani…

«Esattamente, e lei lo fece. Organizzava i viaggi con i “giovani pionieri” e gruppi di lavoro in cui la sua principale attività era avviare il discorso politico con ragazzi e ragazze giovanissimi, proprio perché le rivoluzioni devono essere fatte da chi ha il futuro davanti. Anche in tale frangente dovremmo tenere il suo esempio come stella polare, soprattutto in un momento in cui, a partire dalla scuola, le giovani generazioni sono state messe da parte. In questa pandemia le necessità dei bambini e delle bambine, dei ragazzi e delle ragazze non sono state e non sono una priorità».

Continuiamo a parlare di giovani, prima della pandemia era iniziata una nuova fattiva stagione di impegno civile da parte loro nel segno della tutela dell’ambiente, e ora?

«Nel mio ambito lavorativo, quello dello spettacolo, l’esplosione dell’autorganizzazione è stata evidentissima. Purtroppo nel momento in cui le istituzioni ti ignorano, l’unico modo che hai per prendere la parola è fare delle azioni significative, non è un caso che dopo oltre un anno di pandemia noi siamo arrivati ad occupare un teatro (il Globe di Roma, ndr) e a quel punto il ministro Franceschini è venuto a dialogare con noi. In qualche modo questa situazione ci costringe ad azioni, pacifiche, ma evidenti e scomode, per prenderci uno spazio e un ascolto che altrimenti non ci sarebbe dato. Mi auguro dunque che le giovani generazioni riescano a trovare la forza per prendersi uno spazio che noi adulti non abbiamo una gran voglia di concedere loro».

Hai citato il suo lavoro, il settore dello spettacolo è tra i più piegati dalla pandemia. Ondina, prima di diventare staffetta, aveva fatto l’operaia nei cantieri navali di Monfalcone, fu anche lì che maturò una consapevolezza rispetto al tema dei diritti e della dignità, altro tema scottante in questo 25 aprile.

«In Ondina c’era una radicata e profonda idea di giustizia sociale, desiderata e cercata per tutte e per tutti. Mi piace ricordare che uno degli slogan fondamentali di chi come me ha manifestato in questa pandemia è stato “non solo per noi, ma per tutt*”, dunque la consapevolezza che la precarietà sfrenata (che nel nostro settore veniva chiamata “atipicità”), in realtà non è altro che sfruttamento e assenza di diritti. Questa lotta quanto più è comune, quanto più va a intersecare i problemi che altri lavoratori hanno in altri settori, tanto più sarà efficace. Siamo consapevoli che non solo il mondo dello spettacolo, a livello lavorativo e contrattuale, deve essere riformato. Dunque in questo 25 aprile anche la parola insieme va riscoperta».

Nelle tue riflessioni ricorre di frequente la parola “consapevolezza”, è forse il punto da cui partire in questo 25 aprile per percorre la strada che Ondina ci mostra?

«Lei lo diceva chiaramente, anche perché uno degli stereotipi che venivano appiccicati ai partigiani e alle partigiane, era che – vista la loro giovanissima età – erano degli incoscienti. Ondina invece ribadiva “non eravamo incoscienti, eravamo entusiasti”: agivano in un contesto in cui la formazione politica era importantissima, proprio per maturare una consapevolezza che va continuamente rinnovata e radicata nel presente. Anche per questo mettiamo in scena lo spettacolo, pur sapendo che non è teatro, lo facciamo per dare un segno di resistenza, perché la storia di Ondina – oggi più che mai – merita di essere condivisa».

(«[…] Noi giovani ci eravamo schierati. Avevamo deciso da che parte stare. E oltre a un ideale forte, quello che ci aveva aiutati, era essere straordinariamente felici. Un rigoglioso altruismo ci aveva uniti nella consapevolezza. Non era incoscienza, ma era entusiasmo. Un grande entusiasmo, perché eravamo profondamente convinti, tutti, uomini e donne, di combattere per un mondo migliore”, in «Resistenze femminili», Forum editrice, ndr).

Anna Piuzzi

(Intervista pubblicata sul settimanale diocesano di Udine «La Vita Cattolica» del 21 aprile 2021)

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