«Dopo aver praticamente raso al suolo Gaza, il Governo israeliano ha ora scelto di procedere con una carestia organizzata. Gli aiuti nella Striscia non arrivano da oltre 100 giorni, ci sono centinaia di tir fermi al valico di Rafah pieni di cibo e medicinali che si preferisce lasciar marcire al sole. Sul territorio poi sono stati creati quattro soli centri per la distribuzione del cibo, gestiti da questa pseudo organizzazione voluta da Israele e Stati Uniti: la gente, stremata dalla guerra e dalla fame, è così costretta a percorrere distanze immani per raggiungerli. E quando arrivano lì, l’esercito spara. È stato il quotidiano israeliano a “Haaretz” a svelare come alcuni soldati abbiano raccontato, in forma anonima, di aver ricevuto precisi ordini in tal senso. Ecco cosa intendo quando dico che è una carestia organizzata». Incontriamo Amer Hasan, rappresentante della Comunità palestinese in Friuli-Venezia Giulia, durante il Tadamun Fest, la festa della solidarietà tenutasi domenica 29 giugno a Udine, nel parco del circolo Nuovi Orizzonti, nel quartiere Rizzi. Una manifestazione – voluta e organizzata da una folta rete di associazioni (guidate dal comitato cittadino per la Palestina) – che ha visto alternarsi laboratori per bambini, incontri, mostre fotografiche e performance per accendere i riflettori sulla questione palestinese. Centinaia le persone che hanno voluto esserci. Ad amplificare le parole di Hasan è Medici Senza Frontiere che, appena il giorno prima, ha lanciato un appello affinché si metta fine al sistema di distribuzione creato da Israele e Stati Uniti a fine maggio e che fa perno sulla «Gaza Humanitarian Foundation». «Chiediamo alle autorità israeliane e ai loro alleati – spiegano da Msf – di revocare l’assedio e consentire l’ingresso di cibo, carburante, forniture mediche e umanitarie, ristabilendo un sistema di aiuti fondato sui veri principi umanitari, come quello precedentemente coordinato dalle Nazioni Unite. Il metodo di distribuzione usato costringe migliaia di palestinesi, affamati da oltre 100 giorni di assedio, a percorrere lunghe distanze a piedi per raggiungere i 4 siti di distribuzione, dove le persone lottano per contendersi pochi avanzi di cibo». Sono oltre 500 le persone uccise durante la distribuzione, più di 4mila i feriti.
«Le iniziative come quella di oggi – spiega Hasan, insegnante che vive e lavora da 42 anni in Friuli –, sono preziose perché servono a informare e a fare pressione sulle istituzioni. Questa tragedia sta avvenendo nel centro del mondo, sulla terra dove sono nati tre profeti, una terra sacra che non merita tutta questa guerra e tutta questa morte, non merita questa disumanità».
La “gazificazione” della Cisgiordania
E non c’è solo Gaza. «Il crescendo di violenza e oppressione – osserva Hasan allargando lo sguardo – riguarda anche la Cisgiordania e i territori occupati. Le condizioni di vita qui sono ormai insopportabili. I coloni hanno sempre di più campo libero, sono armati, vere e proprie milizie che rapinano soprattutto nelle periferie delle città e dei villaggi e di giorno in giorno allargano l’occupazione illegale del territorio. La situazione è peggiorata in maniera drastica da gennaio». A inizio 2025, infatti, il Governo Netanyahu, mentre da una parte acconsentiva a un “cessate il fuoco” a Gaza (durato per altro pochissimo) ha dato il via all’operazione Muro di ferro, iniziata nel campo profughi di Jenin.
«In Cisgiordania è in corso un processo di “gazificazione”» racconta Anna nel corso di uno degli approfondimenti del Tadamun Fest. Attivista che lavora tra l’Italia e la Palestina, Anna ha accompagnato numerosi gruppi, anche di Udine, in Cisgiordania. Di lei scriviamo solo il nome, perché i controlli per chi entra in Israele sono stringenti, le persone che raccontano pubblicamente quello che accade nei territori non sono ospiti particolarmente graditi. «Nei territori occupati – spiega –, città e villaggi palestinesi cercano di sopravvivere da 58 anni tra colonie ebraiche, posti di blocco e divieti israeliani. Dal 7 ottobre però la situazione si è inasprita a dismisura, vivere è diventato impossibile. L’arbitrarietà dei check point è salita esponenzialmente, sono stati posizionati cancelli che chiudono le strade, da un momento all’altro vengono attivati, semplicemente non si passa. È fondamentale sapere che parliamo di un territorio frammentato, andare da un villaggio all’altro, coprire distanze irrisorie, di venti o trenta chilometri, può richiedere ore. Il tempo e lo spazio in Cisgiordania assumono così una dimensione che ci è estranea, impossibile da comprendere senza viverla sulla propria pelle. È chiaro che così è difficilissimo lavorare, la crisi economica è diventata drammatica. I bambini poi non riescono ad andare a scuola. La storica università di Bir Zeit, ha scelto, per l’incolumità dei propri studenti di fare solo lezioni on line. Si può essere arrestati per un nonnulla, anzi, senza motivo, lasciati in detenzione amministrativa senza processi per tempi indefiniti. E poi c’è il problema della violenza crescente dei coloni, le loro milizie sono incontrollabili, attaccano villaggi e persone».
La resistenza di chi sceglie di restare
«Per questo – evidenzia Anna – parlo di “gazificazione” (Ugo Tramballi, giornalista de «Il Sole 24 ore» parla, similmente di “metodo Gaza”, ndr). Con l’allargarsi dei territori che vengono occupati illegalmente si concentra, come nella Striscia, un numero sempre più alto di persone, costrette all’arbitrarietà quotidiana, in uno stadio di assedio permanente. Non a caso un mio amico, Rashid, che vive nella Valle del Giordano, mi dice sempre che qui anche il solo esistere, il decidere di rimanere, è un atto di resistenza». Dal 7 ottobre a inizio aprile, nella Cisgiordania occupata sono stati uccisi 946 palestinesi, 187 erano bambini. Si stima inoltre che con l’operazione “Muro di ferro” siano state sfollate forzatamente 40mila persone, costrette a lasciare le proprie case nei campi profughi di Nur Shams, Tulkarem e Jenin.
Anna Piuzzi
La mobilitazione della società civile in Friuli
La misura è colma, ormai da tempo. E sempre di più la società civile, anche in Friuli, si sta mobilitando per chiedere la fine dell’assedio di Gaza e la liberazione della Palestina. E non solo con un click online, ma attraverso un esserci concreto nello spazio pubblico: partecipando, manifestando. Ci sono le «Donne in nero» di Udine che – sin dalla prima ora – continuano a manifestare silenziosamente nel centro cittadino per chiedere il “cessate il fuoco”. Come anche le «Donne della Bassa Friulana contro la guerra» che si sono radunate l’ultima volta venerdì 27 giugno ad Aquileia: «Cessate il fuoco ora! Basta orrore, massacri e genocidio: a Gaza e in Cisgiordania muore l’umanità» è stato il loro grido. Sempre a Udine, i soci e le socie del MissKappa hanno voluto incontrarsi nel momento in cui lo street artist Marko Nicopa ha dipinto, sulla vetrina del circolo, la bandiera della Palestina.
In Carnia, il 1° giugno, rispondendo all’appello della campagna «L’ultimo giorno di Gaza» – lanciata da Tomaso Montanari, Paola Caridi ed altri intellettuali –, anche a Tolmezzo un gruppo spontaneo di una sessantina di persone si era recato, munito di fiaccole, sulla Torre Picotta, che domina la cittadina, per testimoniare la propria solidarietà con le popolazioni palestinesi. Grazie a quell’esperienza si è costituito il gruppo «Carnia per la Pace», con «l’intento – si legge in una nota – di proseguire ed estendere le iniziative di sensibilizzazione della cittadinanza e di pressione sulle istituzioni». Partecipatissimi gli incontri organizzati a Enemonzo e Ovaro. A Paluzza, durante la serata organizzata dall’Anpi Val But, sono stati raccolti fondi per 1900 euro da destinare alla missione a gaza di Medici Senza Frontiere. Sempre nelle terre alte, su iniziativa del circolo Legambiente della Carnia-Val Canale-Canal del Ferro, sono stati raccolti quasi tremila euro, destinati ad associazioni impegnate nell’assistenza dei bambini palestinesi ricoverati in ospedali italiani. Innumerevoli poi gli eventi promossi dal «Comitato per la Palestina» di Udine, l’ultimo è stato il Tadamun fest, la festa della solidarietà che ha visto centinaia di persone incontrarsi nel parco del circolo «Nuovi orizzonti», ai Rizzi. «Ovunque – spiega Laura, attivista del Comitato – c’è stato un crescendo di sensibilità, almeno dal basso, nel riconoscere che quello in corso a Gaza è un massacro, ormai andato oltre ogni limite, che quanto sta compiendo Israele è inaccettabile. È questo un salto di qualità importante nella consapevolezza e coscienza collettiva che porta a dire non solo che il genocidio in corso a Gaza deve essere fermato, ma anche che l’occupazione strutturale della Cisgiordania deve finire».
A.P.
Articoli pubblicati sul settimanale diocesano di Udine.
Leave A Comment?